Artigiano di modestissima cultura, nativo di un piccolo paese del canavesano, Giacomo Naretti (Parella 1831- Asmara 1899) lasciò il Piemonte nel 1856 per emigrare in Francia, poi di lì nel 1864 ad Alessandria d'Egitto e nel 1870 in Abissinia, dove si stabilì al servizio del Negus Johannes IV che - riconoscendo le sue abili doti di falegname - lo assunse come bageron incaricato di importanti opere architettoniche collocate a Debra Tabor, Adua, Aksum e Macallè. Dei primi venticinque anni della vita da migrante di Naretti resta testimonianza nei suoi diari (Sbacchi-Vernetto 2004), scritti su 742 pagine di taccuino in uno stentato italiano popolare (Raimondi 2009) che a piemontesismi e francesismi affianca consapevoli africanismi che l’autore attribuisce di volta in volta alla lingua araba, merica o abissiniese e occasionalmente glossa e commenta (Revelli 2022). Attorno alle narrazioni di Naretti ruotano le figure della giovanissima moglie Teresa e del fratello Cassa, figli poliglotti di una donna etiope e di un ufficiale tedesco; di cosmopoliti e spregiudicati dragomanni; di viaggiatori europei come “il Raffray, il Matteucci, il Vigoni, il Rohlfs, lo Stecker […] e il Bianchi” che ebbero “la ventura di conoscerlo” (Cecchi 1885, II: pp. 583-584). Il quadro che scaturisce dall’integrazione delle Memorie d’Affrica narettiane con diverse parallele fonti odeporiche che più o meno approfonditamente ne citano comportamenti e personalità permette di delineare la singolare storia linguistica e umana di “un modesto falegname, ma un falegname che ha cuore da Principe” (Matteucci 1880: p. 23) il quale - parlando “un misto di piemontese, d’italiano, di francese, d’arabo e d’amarico, che non sempre si capisce” (Bianchi 1884: p. 20) - divenne per il Negus “una specie di ministro degli affari esteri” (Mantegazza 1896: p. 306). Consente, in parallelo, di tratteggiare in molteplici prospettive gli intrecci fra italiano e lingue locali nelle fasi precoloniali del secondo Ottocento.
Esotismi abissiniesi nell’italiano popolare di Giacomo Naretti (Parella 1831-Asmara 1899)
Luisa Revelli
In corso di stampa
Abstract
Artigiano di modestissima cultura, nativo di un piccolo paese del canavesano, Giacomo Naretti (Parella 1831- Asmara 1899) lasciò il Piemonte nel 1856 per emigrare in Francia, poi di lì nel 1864 ad Alessandria d'Egitto e nel 1870 in Abissinia, dove si stabilì al servizio del Negus Johannes IV che - riconoscendo le sue abili doti di falegname - lo assunse come bageron incaricato di importanti opere architettoniche collocate a Debra Tabor, Adua, Aksum e Macallè. Dei primi venticinque anni della vita da migrante di Naretti resta testimonianza nei suoi diari (Sbacchi-Vernetto 2004), scritti su 742 pagine di taccuino in uno stentato italiano popolare (Raimondi 2009) che a piemontesismi e francesismi affianca consapevoli africanismi che l’autore attribuisce di volta in volta alla lingua araba, merica o abissiniese e occasionalmente glossa e commenta (Revelli 2022). Attorno alle narrazioni di Naretti ruotano le figure della giovanissima moglie Teresa e del fratello Cassa, figli poliglotti di una donna etiope e di un ufficiale tedesco; di cosmopoliti e spregiudicati dragomanni; di viaggiatori europei come “il Raffray, il Matteucci, il Vigoni, il Rohlfs, lo Stecker […] e il Bianchi” che ebbero “la ventura di conoscerlo” (Cecchi 1885, II: pp. 583-584). Il quadro che scaturisce dall’integrazione delle Memorie d’Affrica narettiane con diverse parallele fonti odeporiche che più o meno approfonditamente ne citano comportamenti e personalità permette di delineare la singolare storia linguistica e umana di “un modesto falegname, ma un falegname che ha cuore da Principe” (Matteucci 1880: p. 23) il quale - parlando “un misto di piemontese, d’italiano, di francese, d’arabo e d’amarico, che non sempre si capisce” (Bianchi 1884: p. 20) - divenne per il Negus “una specie di ministro degli affari esteri” (Mantegazza 1896: p. 306). Consente, in parallelo, di tratteggiare in molteplici prospettive gli intrecci fra italiano e lingue locali nelle fasi precoloniali del secondo Ottocento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.